Björk ha un cognome lunghissimo, Guđmundsdóttir (cioè ‘figlia di suo padre Guđmundur’, come vuole l’onomastica locale). E’ di Reykjavik, dove è nata il 21 novembre 1965. Il nome Björk, invece, significa ‘betulla’. Un nome che è una forza della natura, proprio come il suo tema natale. Sole (in prima Casa), ascendente e Luna tutti in Scorpione. Valori fortissimi che si traducono nella sua personalità e nella sua musica: come nell’album Homogenic, dove proprio nel brano ‘Pluto’ (nomen omen) Björk descrive il suo desiderio di autodistruzione e successiva Rinascita/Trasformazione, in una perfetta simbologia plutoniana:
Excuse me but I just have to explode/explode this body off me
I’ll be brand new/brand new tomorrow/a little bit tired but brand new
Il tutto espresso con una voce dall’estensione potentissima, dall’energia a tratti ‘disumana’, come se la cantante fosse in contatto con gli inferi e forze primordiali, aiutata anche da una strumentazione elettronica d’avanguardia (Urano e Plutone nella sua decima Casa natale in Vergine) di tastiere, percussioni e gli Icelandic String Octet, in una coreografia ad alto impatto visivo (Marte e Venere in seconda Casa).
Björk non ama le categorie e le coordinate assolute. Come dice in una sua canzone ‘There is no map to human behaviour’: non c’è una mappa, un manuale preciso di orientamento per il comportamento degli uomini. ‘In Reykjavik, dove sono nata, ti trovi in mezzo alla natura circondato da montagne e oceano. Ma sei tuttavia in una capitale europea. Perciò non ho mai capito perché devo scegliere tra natura o spazi urbani.’
Come artista ha creato sonorità elettroniche inesplorate oltre gli stilemi dell’Islanda delle saghe e dei poemi dell’Edda. Lei stessa sembra provenire da mondi ancor più lontani, un’icona orientale dai lisci capelli neri, quasi una sacerdotessa che celebra sul palcoscenico nuove cosmogonie. Improvvisa e sorprendente è stata l’origine del mondo in cui viviamo, sostiene Björk. Siamo qui a seguito di un gigantesco Big Bang che per lei rappresenta il mito della creazione del ventesimo secolo. Così lo descrive in Cosmogony:
They say back then our universe wasn’t even there Until a sudden bang and then there was light, was sound, was matter And it all became the world we know
Allora il nostro universo non esisteva nemmeno. Finchè arrivò un’esplosione improvvisa, e allora ci fu la luce, e ci fu il suono, e ci fu la materia. E allora tutto divenne il mondo che noi conosciamo.
Un’esplosione creatrice e creativa: la visione del mondo di un’artista assolutamente scorpionica.